Ogni volta che cambio i fiori che sono stati con lui per mesi, mi dispiace buttarli. Sono malconci, non più presentabili. Ma è come portarmi a casa qualcosa che gli è appartenuto, che ha vissuto con lui.
Così, con l’ostinazione che mi contraddistingue, due settimane fa mi sono portata a casa la piantina di rosa che avevo lasciato da lui la primavera scorsa.
Non ci so fare con le piante. Non ci ho mai saputo fare. Riesco ad ucciderle con una facilità estrema.
Ho sentito dire che se vogliamo farle riprendere, dobbiamo tagliare tutto quello che è secco, per ridare loro la forza di vivere di nuovo.
Ho preso quella rosa e me la sono portata a casa. Un vaso di coccio, terriccio sano, forbici e acqua. E amore. Ho invasato, ho tagliato tutto quello che non aveva almeno una sfumatura di verde. Ho annaffiato.
Ieri ho visto i suoi germogli e oggi le foglioline verdi, nuove.
So che non sarà facile abbandonare questo rito. Quello di portarmi a casa ogni volta le piante che sono state con lui per una stagione. Anche se sono secche, anche se sono appassite, anche se sono sfiorite.
Chissà qual è il senso di questo rito. Non lo so, ma non vedo l’ora di veder sbocciare quella rosa.
Credo di capire. Sai… mio padre …
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